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La sigla DHCP sta per Dynamic host configuration protocol e identifica un protocollo attraverso il quale un gruppo di nodi può essere configurato in modo automatico e dinamico, per ciò che riguarda la sua connessione nella rete.(1)
Per comprendere il problema, si immagini un ufficio con una rete locale chiusa, in cui si vogliono poter collocare dei nodi senza troppi problemi, soprattutto senza dover stabilire prima gli indirizzi IP e i nomi corrispondenti.
Per attuare questo meccanismo attraverso il protocollo DHCP, occorre un servente che sia in grado di rispondere a una richiesta del genere, con dei clienti in grado di fare tale richiesta adeguandosi alla risposta ricevuta.
Quando un cliente contatta un servente DHCP per la prima volta, tra i due viene concordato un tempo di validità per la configurazione assegnata al cliente. Ciò permette all'elaboratore cliente di mantenere quella configurazione per un certo tempo, senza che questa debba essere necessariamente ridefinita ogni volta che lo si riavvia. Questo tempo viene indicato con il termine lease ed è compito del servente tenere memoria dei nodi che possono trovarsi nella rete di sua competenza; i clienti devono richiedere ogni volta al servente i dati per la loro configurazione, ma almeno si cerca di fare in modo che questi restino uguali per il tempo di lease, che deve essere configurato in modo conveniente in base alle caratteristiche della rete.
Il termine inglese fa intendere che il cliente «affitta» la sua posizione nella rete. |
Il cliente che tenta di contattare un servente DHCP deve utilizzare una chiamata circolare. Per questo, nel caso di un sistema GNU/Linux, i kernel utilizzati negli elaboratori clienti e quello del servente, devono essere stati predisposti opportunamente per il multicasting (sezione 49.2.14).
Si verifica facilmente che sia disponibile questa caratteristica attraverso ifconfig, dando una configurazione transitoria a un'interfaccia e quindi visualizzando il suo stato come nel caso seguente:
#
ifconfig eth0
[Invio]
eth0 Link encap:Ethernet HWaddr 00:A0:24:77:49:97 inet addr:192.168.1.1 Bcast:192.168.1.255 Mask:255.255.255.0 UP BROADCAST RUNNING MULTICAST MTU:1500 Metric:1 RX packets:0 errors:0 dropped:0 overruns:0 TX packets:87 errors:0 dropped:0 overruns:0 Interrupt:12 Base address:0xff80 |
In questo caso si vede apparire la parola MULTICAST, che rappresenta l'attivazione della modalità corrispondente, risolvendo ogni dubbio.
Un servente DHCP potrebbe avere qualche difficoltà a funzionare correttamente con le prime versioni dei kernel Linux (dovrebbe trattarsi delle versioni 2.0....). Il servente DHCP deve essere in grado di trasmettere dei pacchetti all'indirizzo IP 255.255.255.255, corrispondente idealmente a «tutti i nodi». Può darsi che per poterlo fare, si debba creare un instradamento apposito, su tutte le interfacce di rete attraverso cui il servente deve essere raggiungibile e da cui deve poter rispondere.
#
route add -host 255.255.255.255 dev eth0
[Invio]
#
route add -host 255.255.255.255 dev eth1
[Invio]
L'esempio, in particolare, mostra l'instradamento attraverso le interfacce eth0 e eth1.
Nelle versioni 2.2.* del kernel Linux, potrebbe essere necessario abilitare la funzionalità di IP boot agent, attraverso un comando simile a quello seguente:
#
echo 1 > /proc/sys/net/ipv4/ip_bootp_agent
[Invio]
In ultima analisi, un kernel Linux deve essere stato predisposto per la gestione di {Packet socket
} e {Socket filtering
} (oppure {Network packet filtering
}). Nel file di configurazione della compilazione del kernel, queste voci corrispondono a CONFIG_PACKET e a CONFIG_FILTER (oppure CONFIG_NETFILTER). Si veda eventualmente il capitolo 49.2.14.
Teoricamente, dovrebbe essere possibile fare in modo che il servente DHCP riceva le richieste dei clienti anche se queste devono attraversare dei router. In pratica, ciò richiede che i router siano in grado di trasferire tali richieste, oppure che presso di loro sia presente un servizio intermedio di relè (relay). Comunque, si tratterebbe di una politica amministrativa discutibile.
In generale, il servente DHCP dovrebbe essere collocato nella rete fisica che si trova a servire, mentre le richieste dei clienti non dovrebbero poter attraversare i router.
L'utilizzo del protocollo DHCP può costituire un problema serio di sicurezza; in questo senso, sarebbe meglio se i router non fossero in grado di trasferire le connessioni con questo protocollo. |
Normalmente, il protocollo DHCP utilizza la porta 67 UDP, che di solito è denominata bootps. Pertanto, il supervisore dei servizi di rete potrebbe essere stato predisposto per la gestione del servizio BOOTP su quella porta. Per esempio, nel file /etc/inetd.conf
, che riguarda precisamente la configurazione di Inetd, dovrebbe essere presente una riga simile a quella seguente, commentata nello stesso modo.
|
Se la gestione del servizio BOOTP fosse abilitata, ciò andrebbe in conflitto con i demoni usati per il DHCP, sia nel nodo del servente, sia nei nodi clienti.
Attraverso il protocollo DHCP, i nodi clienti possono ricevere una serie di informazioni utili a definire la loro collocazione nella rete circostante. Il minimo indispensabile di tali informazioni è costituito normalmente dall'indirizzo IPv4 e dalla maschera di rete relativa. Dipende dalle caratteristiche del servente la possibilità di offrire informazioni aggiuntive. L'elenco seguente è solo un esempio delle informazioni che potrebbero essere date:
il dominio NIS;
Il servente DHCP che si trova di solito nelle distribuzioni GNU è quello la cui produzione è finanziata da Internet Software Consortium. (2) Viene fatta questa precisazione, perché in seguito viene mostrato l'utilizzo di un cliente di origine differente.
Questo servente si compone del demone dhcpd, il quale si avvale della configurazione contenuta nel file dhcpd.conf
(/etc/dhcpd.conf
, /etc/dhcp*/dhcpd.conf
o simile), inoltre utilizza il file dhcpd.leases
(che potrebbe essere collocato nella directory /var/lib/dhcp*/
) per annotare gli indirizzi concessi ai vari clienti, finché questi restano validi. Questo ultimo file, dhcpd.leases
, deve esistere (vuoto) prima che il demone possa essere avviato la prima volta. Eventualmente, il demone dhcpd è in grado di offrire anche un servizio BOOTP, se la configurazione contiene le informazioni necessarie per la gestione di questo tipo di protocollo.
Il problema di organizzazione del servente si limita quindi alla configurazione del file dhcpd.conf
.
Segue il modello sintattico per l'avvio del demone:
dhcpd [opzioni] [interfaccia...] |
In generale, dhcpd non richiede alcun argomento nella riga di comando, limitandosi così a leggere la configurazione e a porsi in ascolto di tutte le interfacce in grado di gestire il multicast, funzionando come demone. L'indicazione di una o più interfacce di rete, alla fine degli argomenti, permette di specificare dove dhcpd deve porre la sua attenzione, ignorando le altre eventualmente presenti.
La configurazione con il file dhcpd.conf
permette di definire il funzionamento di dhcpd, sia per la gestione del protocollo DHCP, sia per BOOTP. Qui si intendono mostrare solo le direttive utili per il protocollo DHCP.
In questo file sono ammessi i commenti, preceduti dal simbolo # e terminati dalla fine della riga in cui appaiono. È consentito inoltre spaziare le direttive attraverso righe vuote o righe bianche, che vengono ignorate.
Le direttive sono organizzare in forma di struttura, in cui appare la dichiarazione di ciò a cui fa riferimento tale struttura, seguita dall'indicazione di una serie di parametri specifici, racchiusi tra parentesi graffe.
[parametro_globale;] [parametro_globale;] ... dichiarazione { [parametro_specifico;] ... [sotto_dichiarazione { [parametro_più_specifico;] ... }] ... } ... |
Lo schema sintattico è un po' confuso a prima vista, ma significa che il file può iniziare con una serie di direttive (facoltative) contenenti l'indicazione di alcuni parametri (viene chiarito in seguito di cosa può trattarsi), il cui effetto ha valore globale, salvo la possibilità di essere offuscati da definizioni contrastanti all'interno di direttive di dichiarazione.
Il file deve contenere almeno una direttiva di dichiarazione che può limitarsi a contenere dei parametri specifici, oppure può inglobare delle sotto-dichiarazioni.
La cosa migliore, per cominciare, è introdurre un esempio. Si supponga di volere servire la rete locale 192.168.1.0/255.255.255.0, specificando che gli indirizzi da 192.168.1.100 a 192.168.1.199 possono essere gestiti per le attribuzioni dinamiche di indirizzi IP. Il file di configurazione può limitarsi a contenere quanto segue:
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La direttiva di dichiarazione subnet, come si può intuire, è quella più importante per la gestione del DHCP. Nella maggior parte dei casi, la configurazione si compone di una o più direttive di questo tipo, contenenti probabilmente più parametri di quanto visto nell'esempio.
Prima di mostrare più in dettaglio le altre direttive, viene presentato un altro esempio, che potrebbe soddisfare le esigenze più comuni di chi utilizza dhcpd (a parte i valori particolari che sono stati indicati). Rispetto all'esempio precedente si nota la presenza di due intervalli di indirizzi IP da utilizzare per l'attribuzione automatica; per il resto, momentaneamente, dovrebbe essere intuitivo il significato.
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Prima di proseguire con la descrizione di alcuni tra dichiarazioni e parametri, si osservi che i parametri sono terminati dal punto e virgola. È ammesso indicare più parametri sulla stessa riga, anche se in generale è preferibile evitarlo.
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Per conoscere tutte le «opzioni» che si possono inserire nelle direttive option, si deve leggere la pagina di manuale dhcp-options(5).
In condizioni normali, il demone dhcpd viene controllato dalla procedura di inizializzazione del sistema, attraverso uno dei suoi script. L'esempio che segue rappresenta un modo semplice per ottenere questo, dove la variabile di ambiente INTERFACES viene usata per contenere l'elenco delle interfacce di rete da configurare:
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Nel caso particolare della distribuzione GNU/Linux Debian, questo script è certamente più complesso, ma fa uso proprio della variabile di ambiente INTERFACES, che viene definita nel file /etc/default/dhcp3-server
:
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Quando si utilizza il servente DHCP di ISC su un sistema GNU/Linux, occorre tenere presente che l'interfaccia di rete che si indica alla fine della riga di comando di dhcpd, deve essere reale; in pratica, non può trattarsi di un «alias», come potrebbe esserlo un nome del tipo eth0:1.
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Quando si configura un router con una sola interfaccia di rete reale (utilizzando il sistema GNU/Linux), diventa praticamente indispensabile fare riferimento al nome di interfaccia reale per ciò che si può considerare come la «rete esterna». Questa necessità dipende dal fatto che il programma iptables, usato, per esempio, per configurare il NAT e un sistema di filtri, richiede l'indicazione di un nome di interfaccia reale, ma dovendo scegliere, in questo caso, è importante che il nome reale sia riferito alla rete esterna.
Se si vuole attivare un servizio DHCP all'interno di un elaboratore che è collegato a due reti (reali o virtuali), è ragionevole supporre che questo servizio serva per quella rete che si considera, in qualche modo, interna. Se però si sta lavorando nelle condizioni ipotizzate, dove si dispone di una sola interfaccia reale e si attribuiscono degli alias, dovendo utilizzare il nome reale dell'interfaccia per la rete esterna, finisce che il servizio DHCP opera proprio dove non serve.
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Purtroppo, non c'è modo di istruire il demone dhcpd di rispondere utilizzando l'indirizzo mittente che si preferisce per la rete interna. Il programma dhclient che viene descritto in una sezione apposita, può superare il problema, purché ci sia un router che consente di raggiungere l'indirizzo del lato esterno (si suppone che sia lo stesso nodo che ha questa interfaccia singola che esegue il compito di router); tuttavia, altri programmi non ne sono in grado; in particolare l'avvio di un sistema senza disco potrebbe essere in crisi.
Eventualmente si può sfruttare un raggiro molto semplice: si configura temporaneamente l'interfaccia reale con l'indirizzo da usare per la rete interna; si avvia il demone dhcpd; si riconfigura l'interfaccia con l'indirizzo esterno e si dichiara un alias per l'indirizzo interno. In questo modo, il demone dhcpd continua a lavorare considerando l'indirizzo interno corretto:
#
ifconfig eth0 192.168.1.254
[Invio]
#
/usr/sbin/dhcpd -q eth0
[Invio]
#
ifconfig eth0 1.2.3.4
[Invio]
#
ifconfig eth0:1 192.168.1.254
[Invio]
...
Ovviamente, la sequenza mostrata delle operazioni è semplificata, in quanto non verifica la necessità eventuale di dover terminare il funzionamento di un demone dhcpd già attivo, inoltre non si considera la possibilità di disattivare l'interfaccia di rete prima di riconfigurarla.
Nello stesso pacchetto del servente DHCP descritto nelle sezioni precedenti, si trova normalmente il demone dhcrelay. Questo è in grado di fungere da ripetitore per una richiesta fatta da un cliente DHCP, quando questa, diversamente, non può attraversare un router.
All'inizio del capitolo si è accennato al fatto che sarebbe meglio evitare che un servizio DHCP possa superare i router; tuttavia, chi desidera utilizzare ugualmente tale possibilità, lo può fare attraverso questo programma.
dhcrelay [opzioni] servente_dhcp... |
Il programma dhcrelay è un demone in grado di ritrasmettere le richieste fatte da un cliente DHCP a un servente che altrimenti non sarebbe raggiungibile. Nello stesso modo, le risposte vengono rinviate all'origine.
Il programma dhcrelay non richiede configurazione; l'unica cosa indispensabile è l'indicazione di almeno un servente DHCP alla fine della riga di comando.
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Il cliente DHCP ha il compito di interpellare un servente attraverso una chiamata circolare fatta nella rete fisica in cui si trova lo stesso cliente, ottenendo da questo l'indicazione dell'indirizzo IPv4 da utilizzare, assieme ad altre informazioni di contorno eventuali. Successivamente, ha il compito di ripresentarsi presso il servente periodicamente, per evitare che scada il tempo concesso per l'identificazione che gli è stata attribuita (lease).
Il problema maggiore, semmai, è fare in modo che il sistema presso cui è in funzione il cliente DHCP sia in grado di adeguarsi alle informazioni ottenute in questo modo. Non basta sapere quale indirizzo IPv4 si può utilizzare per una certa interfaccia di rete, occorre anche configurarla e definire l'instradamento. A questo proposito, il cliente DHCP è un punto delicato, per cui la scelta, ammesso che ce ne sia più di una, va fatta pensando all'integrazione con il proprio sistema operativo.
Nel pacchetto DHCP di Internet Software Consortium è disponibile il programma cliente dhclient per l'interrogazione di tale servizio:
dhclient [opzioni] [interfaccia...] |
Il programma dhclient, una volta terminata la prima fase di scansione, avvia uno script con il quale configura l'interfaccia di rete e l'instradamento, quindi si mette a funzionare sullo sfondo, come demone.
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Una volta avviato, quando ottiene le informazioni che servono da un servente DHCP, le accumula nel file dhclient.leases
che dovrebbe trovarsi nella directory /var/lib/dhcp*/
, o nel file specificato con l'opzione -lf. Il contenuto di questo file potrebbe apparire in modo simile all'esempio seguente:
|
Il programma dovrebbe essere in grado di configurare automaticamente l'interfaccia di rete, l'instradamento locale e quello predefinito. Eventualmente può avere dei problemi a intervenire nel file /etc/resolv.conf
, per indicare il servente DNS; in tal caso è necessario costruire un proprio script che estragga questa informazione dal file dhclient.leases
.
Il programma dhclient prevede anche l'uso di un file di configurazione, dhclient.conf
, che normalmente si colloca nella directory /etc/dhcp*/dhclient.conf
, oppure può essere ridefinito con l'opzione -cf. Le cose più importanti da inserire in questo file sono le richieste da fare al servente DHCP, come si vede nell'esempio seguente che potrebbe essere usato per la maggior parte delle situazioni di utilizzo di tale programma:
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Per conoscere le altre direttive che, eventualmente, possono essere utilizzate per la configurazione, si deve consultare la pagina di manuale dhclient.conf(5); inoltre, per conoscere tutte le «opzioni» del protocollo, si deve leggere la pagina di manuale dhcp-options(5).
Le informazioni che si possono ottenere attraverso un servizio DHCP sono molte e non è semplice standardizzarne l'utilizzo nell'ambito della procedura di inizializzazione del sistema. Pertanto, si può essere costretti a realizzare un proprio script per estrapolare i dati contenuti nel file /var/lib/dhcp*/dhclient.leases
. L'esempio seguente rappresenta la parte saliente di uno script del genere, da inserire in qualche modo nella procedura di avvio del sistema. L'esempio ha il solo scopo di mostrare come si può fare in pratica a gestire tali informazioni.
|
Nelle distribuzioni GNU/Linux si può trovare il programma dhcpcd (3) che non fa parte dello stesso pacchetto di ISC.
dhcpcd [opzioni] [interfaccia] |
Il programma dhcpcd è un demone in grado di compiere il ruolo di cliente DHCP, per ottenere l'indicazione dell'indirizzo IPv4, della maschera di rete relativa, dell'indirizzo del router, del servente DNS oltre ad altre informazioni eventualmente fornite.
Il pregio principale di questo cliente è quello di essere capace di riconfigurare l'interfaccia di rete e di ridefinire l'instradamento in modo autonomo, senza richiedere la predisposizione di script appositi o di qualunque apparato di contorno.
Il limite di questo programma sta nel fatto di poter intervenire su una sola interfaccia di rete, che in modo predefinito è eth0.
Per quanto riguarda l'informazione del DNS, dhcpcd crea un file che riproduce il contenuto di /etc/resolv.conf
; si tratta di /etc/dhcpc/resolv.conf
. Per le altre informazioni, comprese quelle sull'interfaccia di rete e sull'instradamento, crea un altro file che ha l'aspetto di un pezzo di script di shell, che potrebbe essere utilizzato in qualche tipo di procedura di inizializzazione del sistema. Si tratta di /etc/dhcpc/hostinfo-interfaccia
.
Segue la descrizione di alcuni esempi.
#
dhcpcd
[Invio]
Avvia dhcpcd in modo normale, come demone, allo scopo di ottenere un indirizzo per l'interfaccia eth0.
#
dhcpcd eth1
[Invio]
Avvia dhcpcd come demone, in modo da ottenere un indirizzo per l'interfaccia eth1.
Se il servente DHCP fornisce le indicazioni sui serventi DNS ed eventualmente anche il dominio di competenza, dhcpcd è in grado di creare il file /etc/dhcpc/resolv.conf
, il cui scopo è di sostituirsi a quello omonimo collocato nella directory /etc/
.
Se si vuole sfruttare questa opportunità, conviene sostituire il file /etc/resolv.conf
con un collegamento simbolico a questo file generato da dhcpcd.
#
mv /etc/resolv.conf /etc/resolv.conf.orig
[Invio]
#
ln -s /etc/dhcpc/resolv.conf /etc/resolv.conf
[Invio]
Il file /etc/dhcpc/hostinfo-interfaccia
viene creato da dhcpcd per contenere tutte le informazioni riferite a un'interfaccia particolare. Per esempio, quando si interviene su eth0, si ottiene il file /etc/dhcpc/hostinfo-eth0
.
Il contenuto del file è realizzato in modo da essere compatibile con gli script per una shell derivata da quella di Bourne (come Bash, o altre meno sofisticate), per cui è facile inglobare tale file in uno script di una qualche procedura.
J. Reynolds, J. Postel, RFC 1700, Assigned numbers, BOOTP and DHCP parameters, 1994
Appunti di informatica libera 2006.07.01 --- Copyright © 2000-2006 Daniele Giacomini -- <daniele (ad) swlibero·org>
1) Di solito, il protocollo DHCP si utilizza per IPv4, dal momento che IPv6 risolve già i problemi assegnazione automatica degli indirizzi.
2) DHCP ISC software libero con licenza speciale
Dovrebbe essere possibile fare riferimento a questa pagina anche con il nome dhcp.htm
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