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In questo capitolo vengono trattati alcuni aspetti più sofisticati della gestione di dischi e di file system.
Generalmente, l'utilizzo dello spazio nel file system non è controllato, per cui gli utenti possono utilizzare teoricamente quanto spazio vogliono in modo indiscriminato. Per controllare l'utilizzo dello spazio nel file system si può attivare la gestione delle quote, cioè un sistema di registrazione dello spazio utilizzato in base all'appartenenza dei file a un utente o a un gruppo particolare. La gestione delle quote non si limita a questo: può impedire di fatto la creazione di file che superano lo spazio consentito.
Il controllo avviene a livello di partizione, per cui occorre stabilire per ognuna di queste le quote di spazio utilizzabili. Generalmente, il problema di controllare le quote riguarda un numero ristretto di partizioni, precisamente quelle in cui gli utenti hanno la possibilità di accedere in scrittura.
Il kernel Linux potrebbe essere in grado di gestire esclusivamente le quote di utilizzo delle partizioni di tipo Ext2 o Ext3, cioè il suo tipo nativo.
GNU/Linux gestisce le quote attraverso il kernel, attivandole e controllandole attraverso una serie di programmi di servizio specifici. Pertanto è necessario che il kernel sia stato compilato attivando l'opzione della gestione delle quote(1) (sezione 49.2.20).
Il controllo della quota può avvenire a livello di: singolo utente, di gruppo o di entrambi. In pratica, un file può essere aggiunto se la quota utente riferita all'UID del file lo consente e, nello stesso modo, se la quota di gruppo riferita al GID del file non viene superata.
Il tracciamento e il controllo dei livelli di quota utente e di gruppo possono essere attivati indipendentemente l'uno dall'altro. In queste sezioni viene mostrato come attivare entrambi i tipi di quota.
La gestione delle quote delle partizioni deve essere attivata espressamente nel momento dell'innesto del file system relativo. Per questo si preferisce intervenire nella configurazione contenuta nel file /etc/fstab
, in modo da facilitare la cosa. Nella colonna delle opzioni si possono aggiungere due parole chiave: usrquota e grpquota. La prima serve per attivare il controllo delle quote riferite agli utenti e la seconda per il controllo riferito ai gruppi. Le due cose sono indipendenti.
L'esempio seguente mostra in che modo attivare entrambi i controlli nella partizione /dev/hda3
.
|
I livelli di quota dei vari utenti e dei gruppi sono contenuti in due file: quota.user
e quota.group
, oppure aquota.user
e aquota.group
. Questi devono essere collocati nella directory principale della partizione da controllare e richiedono solo i permessi di lettura e scrittura per l'utente root. Normalmente, non è necessario creare tali file, perché a questo provvede automaticamente il programma quotacheck quando viene avviato la prima volta.
Prima che il sistema di controllo delle quote possa funzionare, occorre effettuare una scansione della partizione interessata, in modo da raccogliere tutte le informazioni necessarie sull'utilizzo dello spazio dal punto di vista degli utenti e dei gruppi. I file utilizzati per contenere queste informazioni cambiano nome a seconda della versione del formato di questi: la versione più recente (quota versione 2) ha i nomi aquota.user
e aquota.group
, mentre la versione più vecchia (quota versione 1) ha i nomi quota.user
e quota.group
. La scelta di un formato rispetto all'altro, dipende soprattutto dalla capacità del kernel.
La scansione si esegue con il programma quotacheck e per sicurezza andrebbe ripetuta la sua esecuzione ogni volta che si avvia il sistema, oppure giornalmente, quando il sistema resta in funzione a lungo (per più giorni). Si può usare il comando seguente:
#
quotacheck -a -v -u -g
[Invio]
In questo modo si ottiene la scansione di tutte le partizioni che sono state indicate nel file /etc/fstab
come soggette a controllo delle quote. Le opzioni -u e -g richiedono espressamente che la scansione si prenda cura sia dell'utilizzo in base all'utente, sia in base al gruppo.
Se non si usa l'opzione -F, viene usato il formato predefinito per i file, che dovrebbe corrispondere a quello più recente. |
Ogni volta che si innesta una partizione che è soggetta a controllo delle quote, è poi necessario attivare il controllo attraverso il programma quotaon. Per esempio, quotaon /dev/hda3 attiva il controllo sulla partizione indicata. Tuttavia, generalmente si fa questo all'avvio del sistema, per attivare il controllo su tutte le partizioni specificate per questo nel solito file /etc/fstab
. In pratica con il comando seguente:
#
quotaon -a -v -u -g
[Invio]
Anche in questo caso, le opzioni -u e -g indicano che si vuole espressamente il controllo dell'utilizzo in base all'utente e in base al gruppo.
Vale anche per quotaon l'uso dell'opzione -F, se si deve specificare un formato diverso da quello predefinito per i file che accumulano le informazioni sulle quote. |
A questo punto, conviene preoccuparsi di fare in modo che la procedura di inizializzazione del sistema sia in grado ogni volta di avviare la gestione delle quote. Se la propria distribuzione GNU/Linux non fornisce degli script già pronti, si possono aggiungere al file /etc/rc.d/rc.local
(o simile) le istruzioni necessarie, come nell'esempio seguente:
|
La prima volta che si predispone la gestione delle quote, se c'è anche la partizione principale tra quelle da controllare, l'unico modo per fare sì che il controllo delle quote sia operativo, è quello di riavviare il sistema.
Il programma quotacheck esegue una scansione di una o più partizioni, allo scopo di aggiornare i file di registrazione delle quote: quota.user
e quota.group
, oppure aquota.user
e aquota.group
.
quotacheck [opzioni] [{partizione|punto_di_innesto}...] |
È opportuno usare questo programma ogni volta che si avvia il sistema e quando si innestano delle partizioni soggette al controllo delle quote di utilizzo.
|
Segue la descrizione di alcuni esempi.
#
quotacheck /dev/hdb2
[Invio]
Esegue la scansione dell'utilizzo degli utenti della partizione /dev/hdb2
, che deve essere già stata innestata e deve risultare dal contenuto del file /etc/fstab
. In tal caso, può funzionare solo se in questo file è stata specificata l'opzione usrquota in fase di innesto del file system.
#
quotacheck /mnt/disco2
[Invio]
Esegue la scansione dell'utilizzo degli utenti della partizione che, da quanto si determina dal file /etc/fstab
, si colloca a partire dalla directory /mnt/disco2
. Per tutte le altre considerazioni, vale quanto descritto nell'esempio precedente.
#
quotacheck -avug
[Invio]
Questo corrisponde all'utilizzo normale del programma, per scandire tutte le partizioni innestate e registrate nel file /etc/fstab
come soggette al controllo delle quote, sia degli utenti, sia dei gruppi.
Il programma quotaon attiva la gestione delle quote da parte del kernel. Non si tratta quindi di un demone, ma di un programma che termina subito di funzionare.
quotaon [opzioni] [{partizione|punto_di_innesto}...] |
Perché si possa attivare questa gestione, è necessario che i file quota.user
e quota.group
siano presenti nella directory principale delle partizioni per le quali si vuole la gestione delle quote.
Il programma quotaoff disattiva la gestione delle quote da parte del kernel. Le opzioni e la sintassi sono le stesse di quotaon.
quotaoff [opzioni] [{partizione|punto_di_innesto}...] |
|
Segue la descrizione di alcuni esempi.
#
quotaon /dev/hdb2
[Invio]
Attiva la gestione delle quote utente nella partizione /dev/hdb2
, che deve essere già stata innestata e deve risultare dal contenuto del file /etc/fstab
. In tal caso, può funzionare solo se in questo file è stata specificata l'opzione usrquota in fase di innesto del file system.
#
quotaon /mnt/disco2
[Invio]
Attiva la gestione delle quote utente nella partizione che, da quanto si determina dal file /etc/fstab
, si colloca a partire dalla directory /mnt/disco2
. Per tutte le altre considerazioni, vale quanto descritto nell'esempio precedente.
#
quotaon -avug
[Invio]
Questo corrisponde all'utilizzo normale del programma, per attivare la gestione delle quote in tutte le partizioni innestate e registrate nel file /etc/fstab
come soggette al controllo delle quote, sia degli utenti, sia dei gruppi.
Le quote che si possono assegnare agli utenti e ai gruppi sono composte dell'indicazione di diversi dati. Lo spazio concesso viene espresso attraverso il numero di blocchi (unità di 1 024 byte) e viene definito limite logico (soft) perché viene tollerato un leggero sconfinamento per tempi brevi. A fianco del limite logico si può stabilire un limite di sicurezza, o limite fisico (hard), che non può essere superato in alcun caso. Oltre ai limiti sui blocchi di byte, si stabiliscono normalmente dei limiti di utilizzo di inode, in pratica, il numero massimo di file. Dal momento che si ha a che fare con file system Ext2 o Ext3 che normalmente possono avere un inode ogni 4 Kibyte, si può stabilire facilmente un calcolo di corrispondenza tra blocchi di dati e quantità di inode.
Quando viene fissato il limite fisico, soprattutto quando questo è superiore al limite logico, si intende consentire implicitamente lo sconfinamento del limite di utilizzo. In tal caso è necessario stabilire il tempo massimo per cui ciò è concesso. Generalmente, se non viene definito diversamente, si tratta di una settimana.
Le quote vengono assegnate o modificate attraverso il programma edquota; la verifica dei livelli può essere fatta dall'utente root con repquota e ogni utente può controllare ciò che lo riguarda attraverso il comando quota. Con edquota si modificano le quote attraverso un programma per la gestione di file di testo; in pratica viene creato un file temporaneo e il suo contenuto viene quindi interpretato per modificare le quote. L'esempio seguente mostra il caso dell'utente tizio cui è concessa una quota di 10 Mibyte, con una tolleranza del 10 % (11 Mibyte il limite fisico).
#
edquota -u tizio
[Invio]
Quotas for user tizio: /dev/hda3: blocks in use: 4567, limits (soft = 10240, hard = 11264) inodes in use: 234, limits (soft = 2560, hard = 2816) |
La modifica delle quote dei gruppi avviene nello stesso modo. A fianco di questi livelli di spazio utilizzabili, c'è il problema di fissare il tempo massimo di sconfinamento, che può essere deciso solo a livello globale della partizione.
#
edquota -t
[Invio]
Time units may be: days, hours, minutes, or seconds Grace period before enforcing soft limits for users: /dev/hda3: block grace period: 7 days, file grace period: 7 days |
L'esempio dovrebbe essere autoesplicativo. Il «tempo di grazia» (grace period) è il periodo massimo per cui è concesso lo sconfinamento dal limite logico. Il primo dei due valori si riferisce ai blocchi di spazio (un blocco è pari a 1 024 byte); il secondo si riferisce al numero di file, ovvero di inode.
L'utente root può avere un quadro completo della situazione con repquota, che genera una tabella delle varie quote. La colonna grace serve per annotare eventuali sconfinamenti e riporta il tempo consentito rimanente.
#
repquota -u -a
[Invio]
Block limits File limits User used soft hard grace used soft hard grace ... tizio +- 10500 10240 11264 6days 1123 2560 2816 caio -- 1 0 0 1 0 0 |
Nell'esempio appare solo una parte del listato che si ottiene generalmente. Viene mostrato il caso di due utenti: caio non ha alcuna limitazione di utilizzo e le sue quote sono azzerate per questo; tizio invece ha superato un po' il valore del limite logico per l'utilizzo di blocchi. Pertanto, nella colonna grace appare quanto tempo gli resta per provvedere da solo (quando anche questo tempo scade, vi provvede il sistema).
Infine, il singolo utente può verificare la propria situazione con il programma quota.
tizio@:~$
quota
[Invio]
Disk quotas for user tizio (uid 502): Filesystem blocks quota limit grace files quota limit grace /dev/hda4 10500* 10240 11264 6days 1123 2560 2816 |
Anche in questo caso, si può osservare che l'utente ha superato il limite di spazio concesso, pur senza superare il limite massimo di inode disponibili.
Il programma edquota permette di assegnare e modificare i livelli delle quote agli utenti. Per farlo, si avvale di un programma per la creazione e modifica dei testi, precisamente si tratta di VI o di quanto specificato nella variabile di ambiente EDITOR.
edquota [opzioni] [utente...] |
La modifica delle quote può avvenire solo dopo che sono stati predisposti i file quota.user
e quota.group
, ovvero aquota.user
e aquota.group
.
|
Segue la descrizione di alcuni esempi.
#
edquota -u tizio
[Invio]
Modifica i livelli di quota dell'utente tizio.
#
edquota -g utenti
[Invio]
Modifica i livelli di quota del gruppo utenti.
#
edquota -u -p tizio caio sempronio
[Invio]
Attribuisce agli utenti caio e sempronio gli stessi livelli di quota di tizio.
Il programma repquota emette una tabella riepilogativa dell'utilizzo delle quote delle partizioni specificate.
repquota [opzioni] [{partizione|punto_di_innesto}...] |
|
Segue la descrizione di alcuni esempi.
#
repquota -a
[Invio]
Elenca la situazione delle quote riferite agli utenti (predefinito) per tutte le partizioni in cui ciò è stato attivato, in base alle indicazioni del file /etc/fstab
.
#
repquota -g -a
[Invio]
Elenca la situazione delle quote riferite ai gruppi per tutte le partizioni in cui ciò è stato attivato, in base alle indicazioni del file /etc/fstab
.
#
repquota /dev/hda3
[Invio]
Elenca la situazione delle quote riferite agli utenti (predefinito) per la partizione /dev/hda3
(in uso).
Il programma quota permette agli utenti di controllare il proprio livello di quota. Effettua l'analisi su tutte le partizioni annotate per questo nel file /etc/fstab
. Solo all'utente root è concesso di utilizzare questo programma per controllare la quota di un altro utente.
quota [opzioni] |
Il programma quota restituisce un valore diverso da zero se almeno uno dei valori restituiti rappresenta uno sconfinamento dalla quota.
|
Segue la descrizione di alcuni esempi.
$
quota
[Invio]
L'utente visualizza i propri livelli di quota.
$
quota -g lavoro1
[Invio]
L'utente visualizza i propri livelli di quota per il gruppo lavoro1 a cui appartiene.
#
quota -u tizio
[Invio]
L'utente root visualizza i livelli di quota per l'utente tizio.
Come i dischetti, anche i dischi di dimensioni più grandi possono essere usati senza partizioni, facendo riferimento al file di dispositivo che rappresenta l'unità intera. In questo modo, è sufficiente che il disco in questione sia inizializzato a basso livello, quindi si passa subito alla creazione del file system, come nell'esempio seguente:
#
mkfs.ext3 /dev/sda
[Invio]
Come si vede, si intende inizializzare il dispositivo /dev/sda
, corrispondente a un disco SCSI completo. Inizialmente, il programma che si utilizza dovrebbe avvisare della scelta particolare che si sta compiendo:
/dev/sda is entire device, not just one partition! Proceed anyway? (y,n) |
Evidentemente, basta confermare premendo la lettera y, seguita da [Invio] per ottenere ciò che si desidera.
In generale, i programmi a disposizione per la suddivisione dei dischi in partizioni, partono dal presupposto che tali dischi siano organizzati in settori da 512 byte. Tuttavia, esistono dischi con settori di dimensioni multiple, come nel caso di alcuni tipi di magneto-ottici (per esempio i dischi magneto-ottici Fujitsu da 9 cm, che solitamente sono disponibili solo nella versione con settori da 2 048 byte). |
GNU/Linux è in grado di gestire dischi con settori più grandi di 512 byte (purché si tratti di multipli e si resti entro i 4 096 byte), ma le partizioni che si usano solitamente, secondo lo standard tradizionale del Dos, non possono essere applicate a dischi con settori più grandi. Per questo motivo, l'unico modo di utilizzare tali dischi è quello di trattarli come dei super dischetti, ovvero dischi senza partizioni. Per sicurezza, quando si crea un file system Ext2 o Ext3 è bene accertarsi di avere blocchi di dimensioni sufficientemente grandi:
#
mkfs.ext3 -b 4096 /dev/sda
[Invio]
Dal momento che i dischi esistono e sono utilizzati per uno scopo preciso, la possibilità di gestire file che riproducono un disco intero può sembrare paradossale o senza senso. In realtà, ciò è di grande utilità. In questi casi si parla di file-immagine, solo che il termine immagine viene usato in molte circostanze differenti e occorre evitare di lasciarsi confondere.
L'esempio più comune di file contenenti l'immagine di un disco sono quelli fatti per la creazione dei dischetti di avvio utilizzati per installare GNU/Linux la prima volta, oppure quelli che servono a riprodurre un CD o un DVD.
Per utilizzare i file-immagine di dischi, cioè per poterli innestare come si fa con i dischi veri, occorre che il kernel sia in grado di gestire questa funzione (sezione 49.2.10).
Un file-immagine di un disco può essere creato a partire da un disco esistente oppure da zero, con l'inizializzazione di un file. Volendo creare l'immagine di un dischetto già esistente si procede semplicemente copiando il file di dispositivo corrispondente all'unità a dischetti nel file che si vuole creare.
#
cp /dev/fd0 floppy.img
[Invio]
L'esempio appena mostrato genera il file floppy.img
nella directory corrente.
Diversamente si può partire da zero, creando un file e inizializzandolo. Il comando seguente crea il file pippo.img
della stessa dimensione di un dischetto da 1 440 Kibyte.
#
dd if=/dev/zero of=pippo.img bs=1024c count=1440
[Invio]
Il comando successivo serve invece a inizializzarlo in modo da inserirvi un file system (viene utilizzato il formato standard: Ext2).
#
mke2fs pippo.img
[Invio]
pippo.img is not a block special device. Proceed anyway? (y,n) |
Trattandosi di una richiesta anomala, il programma mke2fs vuole una conferma. Basta inserire la lettera y per proseguire.
Proceed anyway? (y,n)
y
[Invio]
Nello stesso modo si può creare un file system differente (per la creazione di un file-immagine contenente un file system ISO 9660, usato per i CD e i DVD, si veda il capitolo 117).
Per accedere a un file contenente l'immagine di un disco (con il suo file system), si procede come se si trattasse di un disco o di una partizione normale. In particolare, viene utilizzato mount con l'opzione -o loop.
L'immagine cui si accede può essere stata creata sia partendo da un file vuoto che viene inizializzato successivamente, sia dalla copia di un disco (o di una partizione) in un file.
#
mount -o loop -t ext2 pippo.img /mnt/floppy
[Invio]
Nell'esempio, l'immagine contenuta nel file pippo.img
viene innestata a partire dalla directory /mnt/floppy/
, dove si comporta come se si trattasse di un dischetto normale.
Se il file-immagine, all'interno del quale è stato fatto del lavoro, corrisponde esattamente a un disco o a una partizione, è possibile riprodurre questa immagine nel disco o nella partizione corrispondente. Per questo si può utilizzare cp oppure dd.
I due esempi seguenti riproducono nello stesso modo il file pippo.img
in un dischetto.
#
cp pippo.img /dev/fd0
[Invio]
#
dd if=pippo.img of=/dev/fd0
[Invio]
Naturalmente, se l'immagine è stata innestata in precedenza per poterne modificare il contenuto, occorre ricordarsi di eseguirne il distacco prima di procedere alla riproduzione.
GNU/Linux, come altri sistemi Unix, permette di gestire anche dischi che al loro interno non contengono un file system. Questo concetto potrebbe sembrare scontato per molti, ma tutti quelli che si avvicinano a GNU/Linux provenendo da sistemi in cui tali cose non si possono fare devono porre attenzione a questo particolare.
Un disco senza file system è semplicemente una serie di settori. In modo molto semplificato è come se si trattasse di un file. Quando si indicano i nomi di dispositivo legati ai dischi o alle partizioni si fa riferimento a questi nel loro insieme, come se si trattasse di file.
Quando si vuole utilizzare un disco o una partizione nel modo con cui si è abituati di solito, cioè per gestire i file al suo interno, la si deve innestare e da quel momento non si fa più riferimento al nome del dispositivo.
A volte è importante utilizzare i dischi come supporti di dati senza file system. I casi più importanti sono:
Le operazioni di innesto e di distacco di un file system possono essere automatizzate, attraverso l'aiuto di un demone che provvede a innestare i dispositivi quando si tenta di accedere a una directory che dovrebbe trovarsi al loro interno e ne esegue il distacco quando per un certo tempo questi risultano inutilizzati.
L'innesto automatico non è solo una comodità in più che viene concessa agli utenti; la situazione in cui si avverte maggiormente il vantaggio di questo automatismo è nella gestione di file system condivisi in rete, attraverso il protocollo NFS, quando si vuole evitare di creare un collegamento stabile.
Ci possono essere diverse opportunità di gestire l'innesto automatico di un file system in un sistema Unix; per quanto riguarda GNU/Linux, il modo più conveniente dovrebbe essere la gestione prevista all'interno del kernel, che si avvale del demone contenuto nel pacchetto Autofs. (2) L'utilizzo di questo pacchetto è ciò che viene descritto nelle sezioni successive.
Avendo deciso di utilizzare il pacchetto Autofs, occorre che il kernel sia predisposto per la gestione dell'innesto automatico dei file system (sezione 49.2.20).
Come già accennato, per la gestione automatica dell'innesto dei file system, il kernel da solo non basta. Viene utilizzato un demone, precisamente si tratta del programma automount, che per funzionare si avvale delle informazioni contenute in una mappa che gli viene indicata attraverso la riga di comando.
Più precisamente, viene definita una directory che rappresenta il punto di innesto automatico, a partire dalla quale si creano poi automaticamente altre sottodirectory in base al contenuto della mappa che viene fornita a automount. Se si vogliono gestire più punti di innesto automatico, occorre avviare diverse copie del demone automount, dove ognuna di queste potrebbe avere una mappa differente. Per tentare di comprendere la cosa in modo intuitivo, si cerchi di seguire l'esempio seguente, dove si suppone di avere predisposto il file /etc/auto.automnt
con il contenuto seguente:
|
Si suppone inoltre di voler usare la directory /automnt/
come punto di innesto automatico per la mappa definita nel file /etc/auto.automnt
. Per attivare il demone automount in modo che legga il file /etc/auto.automnt
e lo utilizzi per la directory /automnt/
, occorre il comando seguente:
$
automount /automnt file /etc/auto.automnt
[Invio]
La prima direttiva del file /etc/auto.automnt
indica che il CD-ROM corrispondente al dispositivo /dev/cdrom
viene innestato automaticamente a partire da /automnt/cdrom/
e che il dischetto corrispondente al dispositivo /dev/fd0
viene innestato a partire da /automnt/floppy/
. Queste due directory non devono essere create; è automount che provvede nell'istante in cui si cerca di attraversarle. In pratica, se non si conosce l'organizzazione del sistema di innesto automatico dei file system, non si può sapere quali siano i percorsi disponibili e le unità che possono essere innestate automaticamente.
Se per qualche motivo si vogliono gestire diversi punti di innesto automatico, occorre definire le mappe corrispondenti (di solito si tratta di definire altri file simili a /etc/auto.automnt
) e quindi occorre avviare altrettante copie di automount. Tuttavia, di solito ci si limita a gestire un solo punto di innesto automatico.
Per semplificare le cose, oppure, a seconda dei punti di vista, per complicarle ulteriormente, Autofs viene distribuito quasi sempre assieme a uno script che dovrebbe essere inserito nella procedura di inizializzazione del sistema: /etc/init.d/autofs
, o altro percorso simile. Questo file ha lo scopo di avviare e fermare il servizio, pertanto viene usato con l'aggiunta di un argomento espresso da una parola chiave: start, stop,... Ma il compito previsto per questo script è più complesso del solito e non funziona sempre come ci si aspetta. In generale, dovrebbe leggere il file di configurazione /etc/auto.master
, dal quale ottenere le informazioni necessarie per sapere quali punti di innesto automatico e quali file di mappa utilizzare. In pratica, è probabile che riesca a leggere solo la prima direttiva del file /etc/auto.master
.
Una volta compreso il funzionamento di automount, sta all'amministratore di sistema stabilire se sia meglio affidarsi allo script o avviare direttamente il demone ignorando il file di configurazione /etc/auto.master
.
Il demone automount richiede l'indicazione di una mappa ogni volta che viene avviato. Questa mappa serve a descrivere le caratteristiche dei dischi, delle partizioni o dei file system di rete da innestare e le sottodirectory relative, utilizzate come punti di innesto.
La mappa in questione può avere varie forme, anche se nelle situazioni più comuni è rappresentata semplicemente da un file. Nel caso si tratti di file, questo può contenere dei commenti preceduti dal simbolo # e conclusi dalla fine della riga, ma può contenere anche righe vuote o bianche che vengono ignorate ugualmente; le altre righe vengono interpretate come direttive, rappresentate da record contenenti tre campi.
sottodirectory_di_innesto -opzioni {partizione|file_system_di_rete} |
Il primo campo rappresenta la sottodirectory, riferita al punto di innesto automatico, che viene creata automaticamente nel momento in cui viene fatto l'innesto da parte del demone. Questa sottodirectory rappresenta poi l'inizio della partizione o del file system di rete che viene a essere innestato.
Il secondo campo è preceduto da un trattino (-) e serve a indicare un elenco separato da virgole delle opzioni per l'innesto della partizione o del file system di rete. Queste opzioni sono le stesse che possono essere usate con il programma mount, o che possono essere indicate nella quarta colonna del file /etc/fstab
. In particolare, il tipo di file system viene indicato con l'aggiunta del prefisso fstype=.
Il terzo campo serve a definire il dispositivo del disco o della partizione da innestare, oppure il nodo e la directory del file system di rete. Per questo si usa una sintassi particolare:
:dispositivo |
nome_nodo:directory_condivisa |
In pratica, quando il terzo campo inizia con due punti verticali (:), si intende trattarsi di un dispositivo locale.
Segue la descrizione di alcuni esempi.
|
Prevede la possibilità di innestare automaticamente il dispositivo /dev/cdrom
nella sottodirectory cdrom/
, in sola lettura.
|
Prevede la possibilità di innestare automaticamente il dispositivo /dev/fd0
nella sottodirectory a/
, aspettando di trovare al suo interno un file system Dos-VFAT.
|
Prevede la possibilità di innestare automaticamente il file system di rete offerto dal nodo dinkel.brot.dg
, a partire dalla sua directory /pub/dati/
. In particolare, l'innesto del file system viene fatto in modo da concedere soltanto l'accesso in lettura e vengono usate anche le opzioni soft e intr.
Il demone automount si occupa di seguire l'utilizzo del file system allo scopo di automatizzare l'innesto di dispositivi e di file system di rete. La sua sintassi è piuttosto complessa, pertanto viene avviato solitamente attraverso lo script autofs che a sua volta dovrebbe preoccuparsi di interpretare anche il file di configurazione /etc/auto.master
.
automount [opzioni] punto_di_innesto_automatico tipo_di_mappa mappa [opzioni_di_mappa] |
Il demone automount è in grado di leggere la mappa dei punti di innesto da diverse fonti, anche se di solito questa è contenuta in un file.
Se automount riceve il segnale SIGUSR1, esegue immediatamente il distacco di tutti i file system inutilizzati, che non siano impegnati in alcun modo.
|
Il demone automount richiede l'indicazione obbligatoria di alcuni argomenti; per la precisione si tratta della directory a partire dalla quale vanno inserite le sottodirectory di innesto dei vari dispositivi e file system di rete da innestare, dell'indicazione del tipo di mappa utilizzato e dell'indicazione della mappa stessa.
punto_di_innesto_automatico |
Il primo argomento che segue le opzioni è la directory utilizzata come base per l'innesto automatico. A partire da questa vengono aggiunte automaticamente le sottodirectory di innesto in base a quanto contenuto nella mappa.
tipo_di_mappa |
Dopo l'indicazione della directory di partenza per l'innesto automatico, deve essere indicata una parola chiave che specifica il tipo di mappa utilizzato. Nelle situazioni più comuni si utilizza un file puro e semplice, indicando la parola chiave file. Segue l'elenco di queste scelte possibili.
file
La mappa è un file.
program
La mappa è un programma che genera il testo della mappa e lo emette attraverso lo standard output.
yp
La mappa è il nome di una tabella NIS (YP).
nisplus
La mappa è il nome di una tabella NIS+.
hesiod
La mappa è il nome di una tabella Hesiod, della quale vengono usate le voci filsys.
mappa |
L'ultimo argomento obbligatorio è il nome della mappa. A seconda del tipo di mappa, può trattarsi del percorso di un file, oppure del nome di una tabella NIS/NIS+ o Hesiod.
L'esempio seguente avvia il demone automount in modo che utilizzi il file /etc/auto.automnt
come mappa da applicare alla directory di innesto automatico /automnt/
. In particolare, viene stabilito che il tempo di scadenza per i file system liberi e inutilizzati sia di 30 secondi.
#
automount -t 30 /automnt file /etc/auto.automnt
[Invio]
Esiste uno script, più o meno standardizzato, che dovrebbe facilitare l'avvio del servizio di innesto automatico: si tratta di autofs. Attraverso le parole chiave start, stop, reload e status, è possibile avviare, fermare, riavviare e consultare il servizio.
/etc/rc.d/init.d/autofs start|stop|reload|status |
/etc/init.d/autofs start|stop|reload|status |
Lo script autofs si avvale di un file di configurazione aggiuntivo, /etc/auto.master
, all'interno del quale si dovrebbero poter indicare le directory di innesto automatico e le mappe relative (esclusivamente in forma di file). In pratica, è probabile che si possa indicare una sola directory e una sola mappa.
Il file di configurazione /etc/auto.master
è richiesto dallo script autofs per avviare il servizio di innesto automatico. Serve a indicare le directory di innesto automatico e i file di mappa relativi.
È molto probabile che la sintassi delle direttive di questo file cambi nel tempo, tenendo conto del fatto che, nelle prime versioni di autofs, si può contare solo sul funzionamento della prima direttiva.
L'interpretazione di questo file è a carico dello script autofs, che viene riadattato da ogni distribuzione GNU/Linux. In tal senso, non si può contare su un funzionamento uniforme, almeno fino a che le cose rimangono così. |
Segue la descrizione di alcuni esempi.
|
Questa è la direttiva tipica del file /etc/auto.master
. Fa riferimento alla directory /misc/
come punto di partenza per l'innesto automatico, utilizzando il file di mappa /etc/auto.misc
. In pratica, l'utilizzo di questa direttiva dovrebbe tradursi nel comando seguente:
#
automount /misc file /etc/auto.misc
[Invio]
|
Si tratta di una variante dell'esempio precedente, in cui viene specificata l'opzione --timeout 60, che si vuole sia passata a automount. L'utilizzo di questa direttiva dovrebbe tradursi nel comando seguente:
#
automount --timeout 60 /misc file /etc/auto.misc
[Invio]
Il sistema di gestione dell'innesto automatico dei file system, attraverso il sostegno del kernel e l'uso del demone automount, è stato introdotto da poco e altrettanto pochi sono gli utenti che ne hanno fatto uso. In questo senso, è prevedibile uno sviluppo futuro con meno incertezze, soprattutto per quanto riguarda lo script autofs e il suo file di configurazione.
Per quanto riguarda l'utilità di questo sistema, è sconsigliabile il suo utilizzo per unità rimovibili che non siano servo-assistite, come nel caso dei dischetti tradizionali, che possono essere espulsi prima che il sistema li abbia staccati.
L'utilizzo più importante riguarda sicuramente i file system condivisi in rete attraverso il protocollo NFS. Anche se questo problema è prematuro, perché richiede la conoscenza del funzionamento della rete, si può intendere che sia meglio evitare di innestare sistematicamente un file system di rete all'avvio del sistema: il nodo che offre il servizio potrebbe essere disattivato in quel momento, oppure potrebbe essere a sua volta in attesa di innestare un altro file system offerto dal proprio sistema locale.
Stein Gjoen, Disk HOWTO
<http://www.linux.org/docs/ldp/howto/HOWTO-INDEX/howtos.html>
don@sabotage.org, Automount mini-HOWTO
<http://www.linux.org/docs/ldp/howto/HOWTO-INDEX/howtos.html>
Appunti di informatica libera 2006.07.01 --- Copyright © 2000-2006 Daniele Giacomini -- <daniele (ad) swlibero·org>
1) Linux quota utils UCB BSD e GNU GPL
Dovrebbe essere possibile fare riferimento a questa pagina anche con il nome gestione_piu_evoluta_di_dischi_e_file_nbsp_system.htm
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